Non lo so.
Intanto io ho 42 anni e con la vita da mandingo del videogioco è un pezzo che non ho più a che fare.
Chiaro che 30 anni fa mi parevano semplici anche a me i videogiochi (c'erano 4 barrette per qualsiasi sportivo), sono anche abbastanza impegnato e certamente non ho voglia di ulteriore stress e frustrazione.
Però vorrei sottolineare il principio errato di cercare il feeling con il gioco partendo dal monolitico paradigma che il livello di difficoltà optabile sia quello elevato (i livelli andrebbero provati almeno per 20/30 partite prima di accantonarli).
Secondo me il feeling che devi sentire è con il ritmo di gioco e il divertimento, successivamente eventualmente cerchi quei rimedi che ti possono bilanciare l'esperienza (squadra più piccola - cambiamento delle tue statistiche in ribasso - setting più manuale dei comandi), analogamente, in una fase successiva puoi incrementare il livello senza per forza dover partire da un punto prefissato (poiché magari hai imparato a dominare certe meccaniche senza accorgertene).
Nulla vieta che questo livello sia campione o superstar, con 20 anni di meno è molto probabile che è lì che sarei, ma nulla vieta che sia professionista o anche meno, che importanza ha?
La cosa che mi stupisce, rimanendo all'esempio di fifa, tanto per non tirare in causa nessuno qui, è sentire gente che si lamenta di script, ladrocini, difficoltà a segnare, effetto flipper, troppo pressing, ecc... ecc... e vieni a scoprire che ci gioca a leggenda e neanche tocca le slide (per principio dicono), è una cosa che veramente non ha senso.
Questo è il feelling con il gioco (in questo caso la sua perversione patologica)... quando ti trovi bene... e ti trovi bene quando non te ne lamenti...
In altre parole, se potessimo rendere sillogismo il concetto (a dire il vero è più una tautologia), si sta dicendo che una cpu iperavvantaggiata rispetto a te, ladra, con portieri ragno e flipperosa, non piace perché la cpu è iperavvantaggiata rispetto a te, ladra, con portieri ragno e flipperosa.
Doesn't make any sense at all.
Allora, dico solo che il feeling con il livello di gioco è un'altra cosa (diciamo pure quella cosa che rende il videogiocatore un sognatore, figlio del romanticismo occidentale, uno che si immedesima follemente, con l'indole del fanciullo, in quel che avviene su schermo), certamente non aiuta non avere slide per bilanciare istantaneamente il gioco stesso (attraverso la creazione di livelli medi), ma nemmeno è vero non ci sia rimedio: ci sono 4/5 rimedi artigianali che possono aiutare a collocarsi meglio nell'esperienza di gioco che si cerca (il feeling appunto).
Vedi che il problema io direi che è di approcio mentale, forse dovuto alla perdita di questa dimensione prettamente ludica, più intimista e solitaria e, per certi versi, disincantata (discorso che ovviamente si collega a come cambiano i tempi a 360 gradi nel corso dell'esistenza).
Rimane che questo feeling lo senti o non lo senti con la cpu ad un dato livello di gioco: è fatto di tante piccole cose, alcune di queste sono ridicolaggini che fanno parte del tuo essere giocatore (piccole idiosincrasie, puntigli che nessuno comprenderebbe), ma che sostanzialmente hanno a che fare con il divertimento, con il sacrosanto distacco, per un breve momento, da ciò che ti assilla.
Il mio consiglio, se proprio ne dovessi dare uno, è dunque quello di ascoltare se stessi...
è questo il feeling... la capacità di ascoltarsi, da cui deriva, tra l'altro, la capacità di ascoltare il prossimo.
Lo psicologo post-freudiano Lacan sosteneva che nella vita non si fa altro che comunicare, e si comincia con un pianto, un grido di aiuto... non appena venuti al mondo... (è di Cioran l'apologetica della nascita come trauma irreparabile).
Pertanto, in generale, talvolta basta ascoltarsi, capire cosa stiamo dicendo e smettere di cercare tra gli altri chi abbia udito meglio di noi ciò che nemmeno noi abbiamo udito minimamente.
Chapeau.
L'ultima frase poi è emblema di un una problematica sempre più pressante e avvilente dell'era del Web 2.0