L’AMOUR FOU
Intro
L’aria che dal golfo soffia su Chateau d’If, dove Edmond Dantès visse diverse notti inquiete, è di nuovo gonfia di aspettative, di sogni...
I marsigliesi sembrano vestiti una responsabilità storica da onorare: complicato stabilire se davvero avesse ragione Schopenhauer nel perorare la città di Marsiglia come la più bella di Francia.
Marsiglia è una città unica come la sua squadra, l’Olympique.
Una storia divisa tra amore eccessivo e tanto odio, a intermittenza: un ottovolante di successi e abissi, vittorie e anni bui, sconfitte e inchieste.
Una città con l’orecchio teso verso lo stadio.
Tutti a Marsiglia sanno quando gioca l’Olympique, si sente dalle vibrazioni nell’aria che salgono dal Vélodrome e raggiungono i vicoli stretti, sparsi attorno alla Canebière.
Una città che pretende aria di rivincita. Rivincita di un calcio proletario, dove lo stadio è animato dalle curve, i virages, dai gruppi ultrà, contro una Parigi borghese e un po’ snob. Spettatori, non tifosi, pensano i marsigliesi dei parigini. Marsiglia no, è l’antieroe con la faccia sporca, quello che non ti aspetti, ma che ti appassiona. Oggi. Ma solo qualche anno fa, quelli ricchi, noiosi e vincenti erano loro.
Marsiglia è l’inferno e il paradiso.
Una città bella e violenta, un club che negli anni ’90 è diventato campione d’Europa, ma è stato retrocesso pochi mesi dopo. Padrone, ma allo stesso tempo prigioniero di una posto che porta tutto all’estremo. Intrappolato come Edmond Dantes nel castello d’If, quella minuscola prigione sull’isola che guarda in faccia la baia e il Vecchio Porto. Da qui partirà la sua vendetta, la sua riscossa sociale.
Marsiglia è una città difficile, con un alto tasso di criminalità e il club e i giocatori rischiano sovente di finire nel mirino.
«Si dice sempre che l’OM è un club diverso dagli altri. È un po’ banale, ma è vero. Bisogna ammettere che c’è di tutto. Il bene, il male, ma soprattutto l’eccesso»: il quadro preciso di cosa sia questa squadra e questa città lo fa Robert Pirès, campione del mondo e d’Europa, che ha passato due anni (1998-2000) sui campi d’allenamento della Commanderie.
«Troppo amore, troppo tifo, troppa collera. Troppa violenza. Quando tutto va bene, tutto va fin quasi troppo bene. C’è una sorta di euforia che s’impossessa della città. Al contrario, quando i risultati sono meno buoni, tutto prende delle proporzioni, a volte, insensate».
Non è facile essere un calciatore a Marsiglia. Nel 2010, qualche mese dopo la vittoria del campionato, i due fratelli Ayew, l’argentino Lucho González e il brasiliano Vitorino Hilton sono stati vittime, in casa propria, di rapine a mano armata. Commando di quattro o cinque persone che entravano in casa, minacciavano e in alcuni casi picchiavano i giocatori, rubando oggetti, denaro, gioielli. Lucho se ne tornerà al Porto qualche mese dopo l’aggressione. Hilton, che voleva tornare in Brasile, si accontenterà del Montpellier: «Quando senti i tuoi bambini ti chiedono, spaventati, se quei signori torneranno anche stanotte, pensi prima di tutto a proteggere la tua famiglia». È successo addirittura ad André-Pierre Gignac, uno dei leader dello spogliatoio, originario della zona e considerato quasi intoccabile. Quasi, appunto.
Nessuno era davvero sicuro, per questo il club ha dovuto prendere precauzioni, organizzando uno speciale piano sicurezza per i propri giocatori che costa tra i 600.000 e gli 800.000 euro all’anno. Adesso c’è una società privata di sorveglianza che pattuglia le ville dei giocatori 24 ore su 24, e gli agenti di sicurezza effettuano ronde ogni mezz’ora. Ulteriore garanzia, l’organizzazione è affidata a gente di Parigi, e non della zona, per evitare fughe di notizie. Da allora le cose vanno meglio. Sembra un romanzo criminale, ma è la realtà.
A Marsiglia è questo il prezzo che si paga per il successo
e per giocare nel club più importante di Francia.
Intro
L’aria che dal golfo soffia su Chateau d’If, dove Edmond Dantès visse diverse notti inquiete, è di nuovo gonfia di aspettative, di sogni...
I marsigliesi sembrano vestiti una responsabilità storica da onorare: complicato stabilire se davvero avesse ragione Schopenhauer nel perorare la città di Marsiglia come la più bella di Francia.
Marsiglia è una città unica come la sua squadra, l’Olympique.
Una storia divisa tra amore eccessivo e tanto odio, a intermittenza: un ottovolante di successi e abissi, vittorie e anni bui, sconfitte e inchieste.
Una città con l’orecchio teso verso lo stadio.
Tutti a Marsiglia sanno quando gioca l’Olympique, si sente dalle vibrazioni nell’aria che salgono dal Vélodrome e raggiungono i vicoli stretti, sparsi attorno alla Canebière.
Una città che pretende aria di rivincita. Rivincita di un calcio proletario, dove lo stadio è animato dalle curve, i virages, dai gruppi ultrà, contro una Parigi borghese e un po’ snob. Spettatori, non tifosi, pensano i marsigliesi dei parigini. Marsiglia no, è l’antieroe con la faccia sporca, quello che non ti aspetti, ma che ti appassiona. Oggi. Ma solo qualche anno fa, quelli ricchi, noiosi e vincenti erano loro.
Marsiglia è l’inferno e il paradiso.
Una città bella e violenta, un club che negli anni ’90 è diventato campione d’Europa, ma è stato retrocesso pochi mesi dopo. Padrone, ma allo stesso tempo prigioniero di una posto che porta tutto all’estremo. Intrappolato come Edmond Dantes nel castello d’If, quella minuscola prigione sull’isola che guarda in faccia la baia e il Vecchio Porto. Da qui partirà la sua vendetta, la sua riscossa sociale.
Marsiglia è una città difficile, con un alto tasso di criminalità e il club e i giocatori rischiano sovente di finire nel mirino.
«Si dice sempre che l’OM è un club diverso dagli altri. È un po’ banale, ma è vero. Bisogna ammettere che c’è di tutto. Il bene, il male, ma soprattutto l’eccesso»: il quadro preciso di cosa sia questa squadra e questa città lo fa Robert Pirès, campione del mondo e d’Europa, che ha passato due anni (1998-2000) sui campi d’allenamento della Commanderie.
«Troppo amore, troppo tifo, troppa collera. Troppa violenza. Quando tutto va bene, tutto va fin quasi troppo bene. C’è una sorta di euforia che s’impossessa della città. Al contrario, quando i risultati sono meno buoni, tutto prende delle proporzioni, a volte, insensate».
Non è facile essere un calciatore a Marsiglia. Nel 2010, qualche mese dopo la vittoria del campionato, i due fratelli Ayew, l’argentino Lucho González e il brasiliano Vitorino Hilton sono stati vittime, in casa propria, di rapine a mano armata. Commando di quattro o cinque persone che entravano in casa, minacciavano e in alcuni casi picchiavano i giocatori, rubando oggetti, denaro, gioielli. Lucho se ne tornerà al Porto qualche mese dopo l’aggressione. Hilton, che voleva tornare in Brasile, si accontenterà del Montpellier: «Quando senti i tuoi bambini ti chiedono, spaventati, se quei signori torneranno anche stanotte, pensi prima di tutto a proteggere la tua famiglia». È successo addirittura ad André-Pierre Gignac, uno dei leader dello spogliatoio, originario della zona e considerato quasi intoccabile. Quasi, appunto.
Nessuno era davvero sicuro, per questo il club ha dovuto prendere precauzioni, organizzando uno speciale piano sicurezza per i propri giocatori che costa tra i 600.000 e gli 800.000 euro all’anno. Adesso c’è una società privata di sorveglianza che pattuglia le ville dei giocatori 24 ore su 24, e gli agenti di sicurezza effettuano ronde ogni mezz’ora. Ulteriore garanzia, l’organizzazione è affidata a gente di Parigi, e non della zona, per evitare fughe di notizie. Da allora le cose vanno meglio. Sembra un romanzo criminale, ma è la realtà.
A Marsiglia è questo il prezzo che si paga per il successo
e per giocare nel club più importante di Francia.
[Alla fine ho seguito il consiglio di @giaforg
e ho deciso di aprire entrambe le carriere dedicandomi a due progetti contemporaneamente, ma con massima serietà e costanza, per la prima volta. Le carriere, però, avranno delle differenze sostanziali, che vi svelerò nei prossimi aggiornamenti]
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