Si è discusso molto, in questo primo anno e mezzo di vita delle console di nuova generazione, della mancanza di titoli veramente validi, in grado di spingere un potenziale interessato ad effettuare l’acquisto di una nuova macchina da gioco.
Certo, sia PS4 che Xbox One hanno sulla carta caratteristiche molto interessanti, un prezzo tutto sommato giustificabile per quello che offrono a livello di hardware, e quella sensazione che in futuro comunque faranno da base a una gran bella mole di giochi che non avremo voglia di perderci.
Finora, però, per alcuni giocatori (perché molti altri, in realtà, hanno già ceduto), è mancata quella spinta decisiva, quella motivazione per cui dici “ok, dai, considerando che tutto il resto comunque non mi fa schifo, visto che poi c’è anche questa cosa che non voglio perdermi… cedo.”
Normalmente, quel “qualcosa che non voglio perdermi”, e che ti spinge a comprare una nuova console, è un gioco. Un bel gioco. Un gioco che non hai modo di giocare altrove, che non è la riedizione di qualcosa che hai già giocato altrove e che magari sfrutti anche le particolarità della macchina per cui è sviluppato. Un gioco unico, che riesca ad attirarti per tutta una serie di motivi e ti faccia dire “ok, questa console per me è indispensabile, a questo punto”.
Non che non siano usciti giochi esclusivi, finora, per le nuove console di Sony e Microsoft. Ma nessuno dei titoli che abbiamo visto finora ha la faccia di essere quella che una volta si usava chiamare killer application. Chi è passato a console di nuova generazione l’ha fatto più che altro per un processo naturale a cui i videogiocatori sono ormai abituati, e non tanto per un gioco in particolare. Per dire, Destiny ha fatto vendere sicuramente tante PS4 (e anche un po’ di Xbox One), ma è un gioco che esiste anche su PS3 e Xbox 360. The Last of Us Remastered, oh, per carità, figata spaziale, decisamente uno dei migliori titoli disponibili su PS4, ma è appunto il remaster di un capolavoro che già abbiamo amato su PS3. GTA V? Stessa cosa.
E oltre a questi esempi, ci sono poi quei titoli che, sì, effettivamente sono nuovi, esclusivi e magari anche concepiti con in mente il nuovo hardware, ma che per un motivo o per l’altro non hanno proprio sconvolto. L’ultimo esempio di questo genere è The Order: 1886 (qui la nostra recensione), esclusiva PS4, un gioco dall’impianto audiovisivo stellare, che davvero ti fa pensare che la nuova console di Sony sia qualcosa di nettamente diverso rispetto a PS3, ma che purtroppo pecca molto in longevità e rigiocabilità, e finisce con l’essere più un gustoso assaggio (davvero gustoso, bisogna dirlo) delle potenzialità hardware della macchina che un qualcosa in grado di intrattenere a lungo.
E allora ecco che entra in scena Bloodborne, un gioco che in qualunque altro momento della storia dei videogiochi avremmo faticato a immaginare come system seller, ovvero come un titolo in grado di farti comprare una console. Perché Bloodborne è un gioco di From Software, ed è dichiaratamente l’erede spirituale di Demon’s Souls e Dark Souls, giochi che abbiamo amato alla follia, ma che mai ci saremmo sognati di mettere sullo stesso piano di un Uncharted, di un Halo, di un Gears of War o di un Gran Turismo, in quanto a potenza commerciale.
E probabilmente non lo sarà, sullo stesso piano. Eppure, qualcosa di strano e interessante sta succedendo. Ne abbiamo parlato a lungo la settimana scorsa, con quest’articolo in cui abbiamo riflettuto su come Sony sembri moooolto più convinta di Bloodborne di quanto non lo sia stata, nel 2009, per Demon’s Souls.
Come avete avuto modo di notare, le pubblicità di Bloodborne sono dappertutto. Il gioco è interamente doppiato in italiano (cosa inimmaginabile per un titolo From Software, fino al recente Dark Souls II, che comunque è stato un prodotto di buon successo - qui la nostra recensione) e in generale la macchina promozionale messa al servizio del nuovo Action RPG di Hidetaka Miyazaki è davvero soprendente.
E la cosa trova pieno riscontro anche nell’hype dei giocatori. Se, come è probabile, frequentate altri videogiocatori e sui social network siete iscritti a gruppi riguardanti l’argomento, ve ne sarete resi conto. Si parla tanto di Bloodborne, tra i giocatori, e lo si fa con grande entusiasmo, grande ottimismo e tanta tanta tanta voglia di metterci sopra le mani.
Quella stessa voglia che normalmente caratterizza una killer application, un system seller o, insomma, chiamatelo come volete, il gioco che ti fa comprare una console. Ed è, a mio modo di vedere, troppo fico il fatto che questo genere di atmosfera stia caratterizzando il lancio di un prodotto come Bloodborne, che è tutto fuorché il classico gioco che nasce in un contesto commercialmente facile da pompare.
È fico perché, se c’è così tanto interesse nei confronti di Bloodborne, il motivo è la qualità dei prodotti precedenti realizzati da From Software. Una qualità che non ha necessariamente a che fare con una grafica mozzafiato o con quelle caratteristiche che in genere sono in grado di attirare l’attenzione di tante persone, no. Al contrario, qui si parla di qualità strettamente ludiche, e anche di un tipo abbastanza specifico.
Quel tipo di qualità la cui essenza trova origine nella difficoltà che caratterizzava i vecchi giochi da sala, quelli che ti facevano imprecare quando morivi (e altroché se morivi), ma anche urlare di gioia quando riuscivi a superare quel maledetto livello o a battere quel dannatissimo boss. E che ti tenevano incollato allo schermo perché erano difficili, ma volevi troppo sapere cosa c’era più avanti, e soprattutto volevi troppo farcela a vincere. Ed era questo il loro bello.
Ed è questo, come molti sanno, il bello dei recenti giochi From Software. Nonché il motivo per cui tutti stanno attendendo con grande voglia Bloodborne, la prima esclusiva PS4 davvero desiderata con criterio, con coscienza, con fame. Non trovate molto affascinante anche voi il fatto che, una volta tanto, ad essere al centro dell’attenzione nel trambusto mediatico sia un gioco che normalmente sarebbe stato di nicchia?
O avete paura che, per renderlo più appetibile al grande pubblico, e assecondare così la macchina commerciale messa in moto da Sony, From Software abbia ammorbidito il gioco rispetto ai suoi predecessori spirituali? Perché anche questo può essere un interessante argomento di discussione, che troverà sicuramente risposta nella nostra recensione.
Io, sinceramente, questa paura non ce l’ho. A giudicare da quello che ho visto del gioco a partire dall’E3 del 2014, quando è stato per la prima volta presentato e poi mostrato alla stampa (qui la nostra prima storica anteprima), fino alla recente prova sul campo della settimana scorsa (di cui vi ha descritto tutto il nostro Andrea Giongiani), passando per tutto il vasto e incredibile coverage di IGN First del mese scorso, questa paura davvero non riesco ad averla. Mi aspetto, sì, che qualche meccanica sia proposta in modo un po’ più intelligente, magari un pizzico più accessibile, un po’ come già successo con Dark Souls II l’anno scorso, ma non credo che From Software voglia proporre un gioco facile.
Al contrario, sono proprio contento che il ruolo di prima grande, grandissima, esclusiva per PS4 tocchi a un gioco come Bloodborne. Per quanto fatto con la serie Souls, From Software se l’è decisamente meritata, questa cosa. Ora speriamo che sappia stupirci ancora una volta.